venerdì 10 ottobre 2014

Dal Corriere della Sera Il Vesuvio guarda dall’alto quel sangue nero che sgorga dalla sua terra

Il Vesuvio guarda dall’alto quel sangue nero che sgorga dalla sua terra. Intorno la campagna, i pomodorini dop, intere aree coltivate a frutta, il parco nazionale. L’area protetta e vincolata qui sembra solo un modo di dire, un’espressione vuota. Sotto bidoni, liquami, scarti di lavorazione di pellame, chili di amianto. Scavano da tre giorni gli investigatori del corpo forestale dello Stato e del Noe. Si proteggono solo con guanti e mascherine restando dall’alba al tramonto a cercare veleni, a testare il terreno con macchinari e rilevatori. Prima viene fuori una ruota, poi un rimorchio, pezzi di camion che hanno trasportato rifiuti tossici e industriali fino al parco nazionale del Vesuvio. Poi cominciano a venir fuori i bidoni arrugginiti, tre, dieci, quindici, si arriva a quaranta e ancora se ne vedono emergere dal terreno. Contengono un liquido nero che al tatto sembra colla e rende l’aria irrespirabile.
Si scava mentre arrivano le notizie sulle sorti delle forze dell’ordine con l’ipotesi fatta dal governo dei vari accorpamenti (il corpo forestale dovrebbe rientrare nella polizia) e si commenta il timore di perdere quell’identità di investigatori del settore ambientale che negli ultimi anni ha dato risultati importanti. I carabinieri e il corpo forestale sono arrivati qui, a Cava Montone, dopo un esposto di comitati e cittadini della zona e su delega di un giovane pm della sezione ambiente della procura di Napoli guidata dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso. Il magistrato, che si chiama Claudio Basso, è arrivato sul posto ed è entrato nella discarica per rendersi conto di persona dell’entità della scoperta. Con lui i comandanti del Noe Paolo di Napoli, dei carabinieri di Ercolano Gianluca Candura e del corpo forestale dello Stato Sergio Costa. Sono oltre 10 ettari di terreno e la gente del posto dice che c’è sepolto veleno fino a 40 metri di profondità perché i camion di rifiuti arrivano in quella discarica fin dagli anni settanta. Tutt’intorno trionfa il pomodorino Dop, anche accanto alla discarica. Sul confine cassette pronte per la raccolta e la vendita e ettari di campi rinsecchiti.
Il pomodorino del piennolo del Vesuvio è uno dei prodotti più antichi e tipici dell’agricoltura campana: “non manca mai nel presepe” si legge sul sito dell’assessorato all’agricoltura della Regione Campania che evidenzia che si tratta di un prodotto tutelato con il marchio Dop anche se sembra evidente non sia tutelato invece dai veleni sversati nelle campagne del Vesuvio. “Questa è una zona importante non solo dal punto di vista paesaggistico e turistico - spiega il comandante del Corpo forestale dello Stato Sergio Costa - ma anche per i prodotti pregiati che vengono coltivati. Per questo è stato disposto un controllo straordinario sui terreni e i prodotti della zona a garanzia del consumatore. L’area è circoscritta e non c’è nulla da temere. I pomodori del Vesuvio sono sicuramente salvi perché non crescono solo in quest’area” . Secondo le indagini gli sversamenti non sarebbero molto risalenti nel tempo. I fusti arriverebbero da industrie del nord mentre il materiale di conceria dalle ditte che lavorano scarpe e borse a nero. “Abbiamo utilizzato un metodo investigativo unico al mondo messo a punto proprio dalla guardia forestale – aggiunge il generale Costa – si tratta del raffronto di dati ottenuti con l’utilizzo di alcuni strumenti tra cui un magnetometro con cui è possibile tracciare i rifiuti nel terreno. Così facendo in due anni ne abbiamo scavato 5 milioni di metri cubi. Più scaviamo e più i cittadini che sono sentinelle ambientali ci segnalano punti critici.
Terra dei fuochi non è un luogo fisico ma un fenomeno e cioè un modo di concepire la gestione illecita dei rifiuti che passa sulla vita della gente”. “Questo è solo l’inizio, noi lo urliamo da anni dice Mariella Cozzolino dell’associazione “Liberiamoci dal male” - nella zona di San Vito ad Ercolano, la gente che si è ammalata è tantissima. Contiamo i morti ogni settimana. Non dobbiamo mettere la testa nel sacco, qui c’è terreno coltivato, noi mangiamo questi prodotti e molte di queste cose finiscono nella grande distribuzione”. Per un paio di giorni sul posto c’è stato anche un parroco di frontiera Don Marco Ricci di Ercolano che da tempo è in prima linea nella lotta contro gli sversamenti e a tutela dell’ambiente. Oggi non c’è ancora. Qualcuno dice che c’è chi ce l’ha con lui perchè tiene sempre alta l’attenzione e crea “inutili allarmismi”. Ma basta guardare cosa ha vomitato questa terra vulcanica per comprendere il pericolo e stare dalla parte di quel prete.

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