martedì 7 febbraio 2012

Il dilemma del profitto

Scrive Emanuele Severino: "Il nemico più implacabile e più pericoloso del capitalismo è il capitalismo stesso"
Risponde Umberto Galimberti

Per affrontare questa crisi e ripensare il sistema capitalistico basato sulla capacità di acquistare e consumare, dove la politica è asservita alla tecnica che a sua volta è asservita all'economia, basterebbe mettere il tema della sostenibilità ambientale (per sua natura opposta a una società basata sul consumo) al centro di tutto. Come? Sarebbe sufficiente che su ogni prodotto in vendita fosse applicata una tassa proporzionale all'impatto ambientale che provoca la sua produzione e distribuzione e al tempo di smaltimento che esso ha in natura. Basterebbe, per esempio, che le tasse per il trasporto delle merci inquinante fossero elevatissime. Così non avremmo l'invasione dei prodotti di plastica cinesi, non potremmo comprare a soli tre euro un set di dieci contenitori di plastica prodotti "grazie" allo sfruttamento della manodopera cinese e thailandese, perché, a quei tre euro, dovranno essere aggiunti i danni relativi ai 200 anni di smaltimento e all'inquinamento prodotto dal carburante degli aerei che li distribuiscono in giro per il mondo. Allo stesso modo Marchionne non potrebbe più dire che i pezzi saranno prodotti in Italia e assemblati in America (o viceversa) come se il costo del trasporto non avesse alcun peso. E le grandi catene di moderni prodotti che stanno invadendo le nostre città, vendendo a prezzi superconcorrenziali prodotti realizzati molto lontano, ripenserebbero al sistema di produzione e distribuzione, considerando l'ipotesi di far realizzare i prodotti dalle risorse umane locali. Potrei continuare con milioni di altri esempi, ma basterebbe che ognuno di noi ripensasse alle proprie azioni, mettendo l'ambiente al primo posto, per trovare tante idee. Ovviamente numerosi saranno coloro che, leggendo questa lettera, la troveranno assurda, utopica, inapplicabile. E proprio questo deve dar loro la misura di quanto siamo sotto scacco dell'economia e delle lobbie di potere a essa legate.
 La sua proposta non è né assurda né utopica, ma perfettamente in linea con la tesi di Emanuele Severino, che in Il declino del capitalismo (Rizzoli, 1993), afferma che, se lo scopo del capitalismo è il profitto e il suo indefinito incremento, il capitalismo non può tardare a trovarsi di fronte al dilemma: "O distrugge la Terra, e quindi distrugge se stesso, oppure si dà un fine diverso da quello che esso è, e anche in questo caso distrugge se stesso". Per uscire da questo dilemma, il capitalismo è costretto a chiedere aiuto alla tecnica, la sola in grado di assicurargli fonti di energia sempre meno inquinanti e distruttive, capaci di salvaguardare la Terra che è la base naturale della produzione economica. Ma se il capitalismo, per non distruggere la fonte della sua ricchezza (la Terra), è costretto a dipendere dalla tecnica, allora si trova inevitabilmente a "servire due padroni", non più solo il profitto, ma anche la tecnica e tutti quegli apparati che la tecnica mette a disposizione per la salvaguardia della Terra. A questo punto, scrive Severino: "(Se) l'agire capitalistico trasforma il profitto in uno scopo subordinato allo scopo primario rappresentato dalla salvaguardia della Terra e della tecnica, distrugge se stesso come agire capitalistico, e lascia il passo all'azione razionale della tecnica che non presenta forme di distruzione e di autodistruttività che sono proprie dell'agire capitalistico". Ma perché il capitalismo è distruttivo? Perché, come scrive Max Weber in L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, il capitalismo è promosso "dall'istinto del profitto e dalla sete di guadagno", che sono impulsi irrazionali, comuni a tutti gli uomini in tutti i tempi, che il capitalismo ha razionalizzato, sostituendo alla corruzione, al furto, alla rapina, alla guerra, lo scambio. Per cui, conclude Weber: "Il capitalismo può essere identificato con il temperamento o perlomeno con il controllo razionale di questi impulsi irrazionali". Questa disciplina capitalistica poteva funzionare quando la Terra era grande in proporzione ai pochi operatori economici, ma oggi che gli operatori economici sono tantissimi e la Terra s'è fatta piccola, il fatto che il capitalismo abbia semplicemente "moderato, ma non "eliminato", quello che Weber chiama: "l'impulso irrazionale al profitto, anzi al profitto sempre rinnovato", il capitalismo non può evitare di entrare in collisione con la razionalità tecnica, di cui peraltro ha bisogno per salvaguardare la Terra che è la fonte del suo profitto. E se questo fosse il senso non ancora abbastanza evidente ed evidenziato della crisi che stiamo attraversando?

Nessun commento: