Milano invasa da spazzatura e rifiuti tossici. Bersani: “Vi aiuteremo noi”. Era il 1995
Ma la Lega adesso chiude la porta alla crisi campana
"Il problema dei rifiuti di Milano non può essere considerato un'emergenza eterna, né può essere usata l'emergenza come strumento per creare speculazione". Era il 1995 e il capoluogo meneghino scoppiava di monnezza, preda di una devastante emergenza rifiuti. La discarica sotto tiro era quella di Cerro Maggiore - la più grande d'Europa - tra i comuni di Milano e Varese. I manifestanti all'epoca proponevano di "portare i rifiuti ad Arcore per ricordare che Paolo Berlusconi è il vero proprietario di questo impianto".
Tra il 1995 e il 1996 si scatenò una vera e propria guerra che ebbe come protagonisti l'amministrazione comunale di Milano, la Provincia e la Regione Lombardia. Gli abitanti di Cerro, con il sindaco Marina Lazzati in testa, fecero uso di ogni mezzo di lotta (anche scioperi della fame e blocchi stradali), per impedire l'arrivo dei rifiuti alla discarica. A scatenare la protesta era stata la decisione della Giunta regionale guidata da Roberto Formigoni di allargare l'area della discarica per consentire lo scarico delle migliaia di tonnellate di rifiuti provenienti ogni giorno dal capoluogo lombardo che, ancora privo di inceneritori, non sapeva dove collocarli. Il 29 settembre '95 il governo Dini, per fare fronte all'emergenza rifiuti di Milano, con un decreto nominò Roberto Formigoni e il sindaco di Milano, Marco Formentini, commissari delegati per "l'emergenza rifiuti", rispettivamente alla provincia e al Comune di Milano.
E mentre Milano scoppiava per i rifiuti, Paolo Berlusconi, nel pieno delle polemiche, cedette il proprio 50% della quota di proprieta della Simec - che gestiva la discarica - agli altri soci. Il primo dicembre '95, invece, venne firmato l'accordo che sanciva la chiusura definitiva della discarica entro il 31 marzo '96 e il risanamento dell'area.
Nel 1995 i rifiuti prodotti in un solo giorno nella provincia di Milano ammontavano a 12mila tonnellate, di cui cinque solo nel capoluogo. Sui piazzali dell'Amsa, in attesa di smaltimento, nel novembre di quell'anno c'erano ben 28mila tonnellate di spazzatura indifferenziata da smaltire. "Se si pensa - spiegarono all'epoca i Verdi - che i prezzi del settore ammontano, per quanto riguarda lo smaltimento, intorno alle 240 lire al chilo, si fa presto a fare due conti''. Quello dei rifiuti era un ''business'' da 1 miliardo e 200 milioni di lire al giorno solo per quanto riguardava Milano.
Ma non è tutto. Nell' area di 'Montecity' a Milano, nei pressi di via Bonfadini, l'allora assessore comunale all'ambiente Ganapini denunciava: "ci sono 45mila tonnellate di terriccio inquinato da pesticidi organoclorurati, fra i quali il ddt, e quindi rifiuti tossici nocivi, che sono stati stoccati abusivamente". Ganapini precisava poi che ''le 45mila tonnellate" erano "sparse su undici cumuli alti fino a otto metri e divisi parzialmente dal terreno sottostante solo da alcuni teli di plastica'', con "rischi per contatto, ingestione e inalazione delle sostanze presenti''. Inoltre - sempre secondo Ganapini - proprio lì accanto c'erano "due vasche" con "200mila tonnellate di rifiuti speciali che hanno un'autorizzazione scaduta" e per la quale era stata chiesta una proroga. Secca la smentita dalla Regione: "I controlli effettuati dagli organismi preposti, la Provincia di Milano e l'Usl di Milano, dicono senza ombra di dubbio il contrario".
Ebbene, in un simile caos, chi aiutò la capitale economica italiana ad uscire dall'emergenza rifiuti? L'allora presidente della Regione Emilia-Romagna, Pierluigi Bersani. "In queste ore Milano - spiegava Bersani - abbiamo sentito il dovere di rispondere all'appello del sindaco di Milano in ordine all'emergenza ambientale che la città sta vivendo. La Regione Emilia-Romagna ha condotto una ricognizione delle possibilità di smaltimento. In accordo con i Sindaci di Ravenna, di Ferrara e di Sogliano (Rimini), ho comunicato al Sindaco di Milano ed alla Regione Lombardia la disponibilità a una intesa per l'utilizzazione dei rispettivi impianti; questo al fine di risolvere nel più breve tempo possibile l'emergenza che investe la citta' di Milano". Poco dopo l'assessore all'Ambiente di Milano firmò un'intesa con i Comuni di Ravenna, Ferrara e Forlì per far confluire i rifiuti nei rispettivi inceneritori. Da quel giorno e per tutto il mese di dicembre, 350 tonnellate vennero trasportate quotidianamente fuori regione.
L' accordo - secondo una nota della giunta dell' Emilia Romagna - prevedeva l'impegno ad accogliere fino a novemila tonnellate di rifiuti milanesi: 3.000 negli inceneritori gestiti dall' Agea di Ferrara, 3.000 nella discarica di prima categoria gestita dall' Ama di Ravenna, 3.000 nella discarica di prima categoria del comune di Sogliano. La tariffa per ciascuna tonnellata era di 300mila lire (franco discarica) eda versare direttamente agli enti gestori dei tre impianti. Altre destinazioni dello smaltimento furono Trinitapoli (Foggia) e Gubbio (Perugia).
Dalla crisi dei rifiuti Milano uscì con il potenziamento della raccolta differenziata e la costruzione di diversi inceneritori (oltre a quelli già esistenti). E mentre oggi Napoli cerca di rialzarsi dopo decenni di malgoverno, la Lega per tutta risposta chiude la porta in faccia a De Magistris, bloccando il decreto sui rifiuti e l'invio della spazzatura fuori regione. La memoria dei leghisti è evidentemente corta. Cortissima.
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