Dalla commissione d'inchiesta della Provincia: rapporto choc sulla discarica di Pianura
di Daniela De Crescenzo
NAPOLI - Fanghi biologici e da verniciatura e terre di fonderia dalla «Fer.ol.met» di San Giuliano Milanese, morchite, scarichi di collante acrilico e fusti da triturare dalla Sicaf di Cuzzago (Novara), materiale alimentare avariato dalla Codal di Mendicino (Cosenza), residui di resine dalla Set di Parona (Pavia), ceneri dalla Enel di Brindisi, terre di filtrazione dalla Conciaria Bonauro di Chivasso (Torino) polveri di amianto e rifiuti speciali industriali dal centro di stoccagglio di Ferrara di Robassomero (Torino): sono solo alcuni dei veleni finiti da tutt’Italia nella discarica di Pianura.
Eppure quello sversatoio era inizialmente autorizzato a ricevere rifiuti speciali e tossici solo dalla Campania, come si legge a pagina 10 del piano di caratterizzazione del sito redatto dall’Arpac nel 2008. Unica eccezione ammessa (sulla carta, ovviamente) quella delle ceneri provenienti dalle centrali termoelettriche di Taranto. Ma i registri delle comunicazioni sugli sversamenti effettuati dalla «Di.Fra.Bi» (divulgati ieri dalla Commissione di inchiesta sui rifiuti della Provincia di Napoli presieduta da Livio Falcone) dimostrano che a Pianura la norma è stata anno dopo anno coartata fino a permettere che nei 24 ettari del sito fossero portati i veleni da tutt’Italia.
E fossero affidati a una società poi colpita da interdittiva antimafia per sospetti legami con il clan Fabbrocino. Per capire cosa sia realmente successo bisogna avere la pazienza di leggere le cinquanta pagine dell’Arpac che descrivono i cinque sversatoi che sono entrati nell’elenco dei siti di interesse nazionale: quelli più inquinati d’Italia.
Oltre alla discarica autorizzata della «Di.Fra.Bi» a Pianura ci sono anche l’ex discarica comunale di Napoli e quella della ex Citet, più due siti abusivi: quello di Caselle Pisani e quello in in località Spadari. La ex «Di.Fra.Bi», che è stata sistemata nel cratere degli Astroni, ha funzionato dal 1985 al 1996 ed è stata autorizzata a ricevere 730mila tonnellate all’anno di rifiuti urbani e 150mila tonnellate di speciali e tossici.
Come sia stato possibile dire di sì a un sito per rifiuti pericolosi aperto praticamente in città, resta un mistero. È certo, invece, che in totale sono stati portati legalmente 8 milioni di tonnellate di tal quale e 1 milione e 650mila tonnellate di veleni. Nel 1985 gli sversamenti furono ammessi per sei mesi, da allora fino all’’88 ci furono continue proroghe firmate dalla Regione.
Solo nel ’91 ci fu un'autorizzazione definitiva fino al ’93 con successiva proroga fino al ’94, quando il sito fu requisito dal Comune di Napoli per essere definitivamente chiuso nel ’96. Poi c’è stata la lunga querelle sulla sistemazione finale che la «Elektrica», erede della «Di.Fra.Bi» e come la prima società colpita da interdittiva antimafia, concluse dopo molte polemiche nel 2001.
La magistratura la sequestrò nel 2008, subito dopo gli scontri di piazza scoppiati all’ annuncio della riapertura del sito. Se ne era già occupata nel 2000 la commissione ecomafie guidata da Massimo Scalia che nella seduta del 29 marzo del 2000 approvava un documento in cui si scriveva: «Giorgio Di Francia, con il Francesco La Marca, era titolare nei primi anni ’90 della società ”Di.Fra.Bi.” di Napoli, che gestiva la discarica di Pianura. In tale area vennero smaltiti illecitamente, tra gli altri, rifiuti provenienti dall’Acna di Cengio, nonché rifiuti solidi urbani provenienti da regioni del Nord Italia e fraudolentemente fatti entrare in Campania».
Nel 2008, le stesse cose le racconterà un uomo dei casalesi, il manager pentito Gaetano Vassallo: ai veleni sversati legalmente se ne sarebbero aggiunti altri, letali, portati dal Nord e abbandonati a contrada Pisani.
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