Dentro al sito che sorge sul Garigliano, in provincia di Caserta, gestito dalla Sogin. L'assenza di un deposito nazionale ha fatto slittare tempi e aumentare i costi
Alla stazione quando chiedi per la centrale, la evocano con misura, distanza, quasi paura. Da queste parti lo chiamano mostro, l’impianto che ha smesso la sua attività nel 1978, dopo 33 anni è ancora lì ad agitare paure e timori della popolazione, nonostante le precauzioni di chi la gestisce. E’ chiusa, ma aumentano i costi di gestione, prelevati dalle tasche dei cittadini. Siamo a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, ai confini con il Lazio. Nei pressi del fiume Garigliano sorge la centrale nucleare entrata in funzione nel 1964 e spenta dopo 14 anni a seguito di un guasto.
Il fatto quotidiano entra nell’impianto, oggi in fase di dismissione, insieme alla commissione bonifiche ed ecomafie della regione Campania. Il presidente Antonio Amato è impegnato, fin dal suo insediamento, in un tour. Da mesi attraversa scheletri, monumenti allo spreco, discariche e impianti disseminati lungo una terra, una volta appellata come felix. Dell’intera commissione presente solo un consigliere. “Quella del nucleare – denuncia il presidente Amato – è una scelta assolutamente sbagliata, per le primarie questioni legate alla sicurezza ed alla salute, ma anche in termini di costi benefici, il calcolo appare del tutto privo di logica. Ancora oggi paghiamo sulla nostra bolletta i costi della dismissione delle passate centrali. Pensare di realizzare nuove centrali è una scelta del tutto scriteriata”.
Il tema è di stretta attualità in vista del referendum del prossimo giugno che si propone di bocciare il ritorno all’atomo varato dal governo. L’accesso alla centrale nucleare di Sessa Aurunca è riservato, il sito è strategico e all’esterno è protetto dagli agenti di un istituto di vigilanza. La fase di decommissioning, il completo smantellamento dell’area, è affidata alla Sogin, la società per azioni, a capitale pubblico, che ha in carico la gestione, nel nostro paese, della fine degli impianti nucleari. Per chiuderli occorre una società, ma soprattutto capitali umani ed economici.
Il decomissioning prevede l’allontanamento del combustibile nucleare, nel caso della centrale di Sessa in parte trasferito in Inghilterra e in parte al deposito ‘Avogadro‘ di Saluggia, la decontaminazione delle strutture e lo smantellamento dell’esistente. “Del sito resterà solo la cupola, l’enorme sfera centrale – spiegano i tecnici Sogin – perché è stata costruita dall’architetto Riccardo Morandi”. La completa bonifica del sito era prevista entro il 2016, ma la data è slittata. ” I ritardi nelle autorizzazioni e la mancanza di un sito di stoccaggio nazionale per le scorie – chiariscono gli esperti Sogin – ha ritardato la data di conclusione dei lavori”.
Più passa il tempo e più aumentano i costi di mantenimento. La data ora prevista per il completamento delle operazioni di dimissioni è il 2022, ben 23 anni dopo l’inizio dell’attività di decommissioning. Non si escludono ulteriori proroghe, se il governo nazionale non avrà individuato e realizzato il deposito nazionale delle scorie. La Sogin ha un progetto: sito di deposito nazionale più centro di ricerca, in una zona ancora da individuare, che raccoglierà 80mila metri cubi di rifiuti radioattivi dalle centrali dismesse di tutta la penisola. La stima per i rifiuti del Garigliano si aggira intorno ai 6-7 mila metri cubi che saranno allocati, in attesa del deposito nazionale, nella stessa centrale casertana in un sito provvisorio in costruzione chiamato D1( che si aggiunge ad un altro deposito in loco già esistente). I costi, sempre secondo la Sogin, per la completa dismissione si aggirano intorno ai 450 milioni di euro per la sola centrale di Sessa Aurunca.
Un conto che al momento pagano gli italiani attraverso un contributo inserito nella bolletta elettrica, la cosiddetta componente A2. Per capirci la centrale non funziona da 33 anni, per smantellarla in termini previsionali ne occorrono 23, un quarto di secolo, ad un costo di mezzo miliardo di euro. Per smantellare tutte le centrali il costo è intorno ai 5 miliardi di euro(compresa la realizzazione del deposito nazionale), raddoppiato rispetto alle previsioni iniziali. Un impianto che produce reddito e ricchezza anche se fermo, ma per le ditte che si accaparrano gli appalti, sub-appalti con il giro dei fornitori. In terra di Gomorra il rischio è il lucro delle organizzazioni criminali, ‘ firmiamo protocolli di legalità e chiediamo certificati antimafia attenendoci con rigore al codice degli appalti’ assicurano gli esperti Sogin.
Anche Legambiente assiste alla visita della centrale. Nel marzo scorso il ministro della salute Ferruccio Fazio rispondendo ad una interrogazione parlamentare aveva negato ogni tipo di danno sanitario o ambientale causato dalla centrale. “Il ministro – denuncia Giulia Casella del circolo Legambiente locale – ha risposto, ma bisogna rimarcare che non c’è uno studio epidemiologico nell’area( dovrebbe partire a breve, ndr) e manca, in provincia di Caserta, un registro dei tumori per capire l’impatto sulla salute che ha avuto l’impianto, visti i numerosi casi di neoplasie, malformazioni, registrati in passato nel periodo di vita della centrale”. Per il presidente della commissione regionale Antonio Amato il lavoro di bonifica sembra procedere positivamente, ma rileva un ulteriore criticità: “La mancanza di un protocollo di monitoraggio con Arpac e Asl per il quale intendiamo promuovere un’azione di sollecita a questi enti strumentali della regione”.
Dopo Fukushima, Tokyo sceglie le rinnovabili
Sono passati più di due mesi dal terremoto che l’11 marzo scorso ha devastato il Giappone e dato il via a quello che diventerà il più grave incidente nucleare della storia. I mezzi d’informazione da tempo hanno smesso di interessarsi di Fukushima, ma le notizie che giungono dal Giappone sono sempre più inquietanti. Nei giorni scorsi per la prima volta, tecnici della Tepco sono entrati nell’edificio del reattore numero 1 ed hanno fatto una nuova amara scoperta: non solo il combustibile all’interno del nocciolo è fuso, ma da qualche parte il contenitore che lo contiene, il vessel in acciaio, deve avere delle perdite perché nonostante siano stati sinora iniettati più di 100 mila tonnellate di acqua, il livello è ancora basso e mancherebbe all’appello metà di questa quantità che si suppone si trovi nei sotterranei, luoghi dove non è possibile scendere per i livelli di radioattività eccessivi.
La Tepco contava di mettere in sicurezza l’impianto entro fine anno, per poi decidere come procedere, smantellando tutto o costruendo un sarcofago stile Chernobyl. Ma difficilmente la data sarà rispettata perché ora la priorità è di scoprire la falla da cui continua a uscire acqua dal cuore del reattore. Questa scoperta conferma quanto in verità si sospettava fin dall’inizio, che il cuore del reattore non è più integro e l’acqua che viene a contatto con la parte più radioattiva di tutto l’impianto fuoriesce all’esterno. Sinora si era sostenuto che il terremoto non aveva fatto danni e che era stato lo tsunami a causare l’incidente, ma ora occorrerà ammettere il contrario, ovvero che – perlomeno il reattore 1 – è stato colpito nel proprio cuore dal terremoto e che quindi la sua progettazione non si è rivelata adeguata.
Tutti gli ingegneri nucleari lavorano da cinquant’anni al solo scopo di evitare che anche in caso di incidente, nulla fuoriesca dalla serie di scafandri entro cui si confina il nucleo in cui avviene la fissione nucleare. A Fukushima hanno fallito e vale ben poco il fatto che ora con sufficienza si ostinino a dichiarare che i nuovi reattori sono più sicuri perché è stato aggiunto un nuovo muro di cemento armato spesso più di un metro. Nei cinquant’anni di vita delle centrali elettronucleari si sono verificati già troppi incidenti, smentendo tutti i loro calcoli di probabilità che davano e danno sempre per infinitamente improbabile che qualcosa vada male.
Il Giappone ha avuto fiducia nelle loro promesse e ora tutti possono vedere in che situazione si trova. Nei giorni scorsi sono stati spenti i reattori 4 e 5 della centrale di Hamaoka, impianto che il primo ministro Naoto Kan aveva espressamente chiesto di chiudere visti le previsioni di un possibile nuovo terremoto nella regione. Gli altri tre reattori erano già fermi, due per essere smantellati, uno per manutenzione. Con queste due fermate, due terzi dei 54 reattori giapponesi sono ora fuori linea, entro fine mese saranno in totale 35 i reattori spenti. Nei prossimi cinque mesi altri 5 reattori dovranno fermarsi per manutenzione facendo rimanere al paese solo 14 reattori attivi.
Il terremoto ha dimostrato la fragilità della scelta energetica del Paese ed è per questo che il primo ministro Kan ha annunciato un cambiamento radicale di strategia, ripromettendosi di guidare il paese che nel mondo primeggerà nelle rinnovabili, mentre nel raggio di venti chilometri attorno a Fukushima il governo ha deciso di far uccidere tutti i capi di bestiame e di togliere la parte superficiale del terreno dai cortili di scuole e asili. Questa è la faccia concreta del rischio nucleare. I tecnici nucleari si giustificano affermando che ogni nostro gesto, come il guidare un’automobile, comporta un rischio, ma è una giustificazione puerile: giustificare in questo modo così superficiale il rischio di una Fukushima indica l’assenza di validi motivi per giustificare la scelta di ricorrere al nucleare per produrre energia elettrica.
In collaborazione con Roberto Meregalli
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