Esco di casa verso le 23:00, mi reco alla Rotonda di Boscoreale: i manifestanti sono tanti, come al solito. Mi dicono che i Carabinieri hanno effettuato le prime cariche di alleggerimento. Qualcuno getta pietre all’indirizzo dei militari. Vengono fatte esplodere alcune bombe carta: una pioggia di lacrimogeni comincia a pioverci addosso e veniamo brutalmente caricati. Qualcuno rimane ferito. A qualcuno sparano addirittura. I militari ci rincorrono fin quasi al Piscinale. Mi apparto, cerco di riprendermi dagli effetti del gas: gli occhi mi bruciano terribilmente, non riesco a tenerli aperti. Faccio fatica a respirare: non è il massimo per me che sono guarito da poco dalla polmonite.
Non voglio che la mia protesta termini in questo modo: mi reco al fronte di Terzigno, fuori la pizzeria il Rifugio. Prevedo casini in una zona dove i camion devono per forza incontrare i contestatori.
E’ mezzanotte e mezza. Tra la folla scorgo bambini e signore anziane. Una decina di poliziotti senza scudo osserva i movimenti della gente. L’arrivo dei camion è previsto per le due di notte. Mi allontano per andare a mangiare qualcosa. Mi dirigo verso San Giuseppe Vesuviano. Torno a Terzigno verso l’una e trenta passando per corso Leonardo Da Vinci: la protesta si è spostata dal Rifugio all’arteria principale del paese. I cittadini sono convinti che i camion passeranno di lì: ci credo poco.
Tento di capire quale tattica abbia in mente la polizia: mi pare strano che con via Zabatta sgombra i camion debbano passare per Corso Leonardo Da Vinci. Torno al Rifugio e mi accorgo che la polizia ha aperto al traffico la via che conduce alla discarica. Deduco che la situazione alla Rotonda di Boscoreale è sotto il controllo delle forze dell’ordine.
Ritorno in Corso Leonardo Da Vinci, mi preparo allo scontro con i gendarmi. Dopo qualche minuto vedo sbucare dalla strada che conduce alla superstrada dei paesi vesuviani (la “superstrada della morte”) un corteo di volanti della polizia e camionette dei Carabinieri: sono la scorta dei camion della spazzatura!
I militari dell’Arma, in tenuta antisommossa, scendono dai loro mezzi di trasporto, si schierano su due file e corrono verso di noi per caricarci: non vogliono perdere tempo, hanno ordine di sfollarci al più presto. Tra i manifestanti noto due tizi con gli zaini pieni di esplosivi: iniziano ad
accendere le micce e a lanciare bombe verso i Carabinieri che non esitano a rispondere con un cospicuo lancio di lacrimogeni. Tento di oppormi alla carica ma vengo sopraffatto dal gas. Mi do alla fuga: le forze dell’ordine mi rincorrono per duecento metri. Mi fermo proprio di fianco a uno dei tizi che ha lanciato i petardi: gli chiedo di dov’è, mi risponde “di Boscoreale”.
Prendo fiato: il bruciore alla gola e agli occhi è fortissimo. Chiamo mio fratello e mio cugino, mi faccio venire a prendere con l’auto. Ci dirigiamo nuovamente in direzione del Rifugio per assistere al passaggio dei camion. Ci sediamo su un muretto a pochi metri di distanza da una ventina di poliziotti armati di manganello e scudi. Passano i camion ed effettuo delle riprese. I poliziotti ci puntano un faro addosso: mio fratello caccia dalla tasca un paio di occhiali da sole, li indossa e li manda a quel paese.
Decidiamo di tornare in corso Leonardo Da Vinci: la strada è bloccata! Sul posto è presente anche l’esercito. Mi accorgo che un camion è stato dato alle fiamme. Tento di forzare il blocco della polizia dicendo che sono un giornalista ma i poliziotti quasi mi picchiano, mi spingono e mi costringono ad andare via. Mi insultano pure dicendo che non sono nessuno e che me ne devo andare a fanculo. Vado via ma non demordo: percorro un dedalo di vicoli e sbuco dal lato opposto del blocco, passando per Corso Alessandro Volta: i Vigili del Fuoco sono impegnati a spegnere un autocompattatore in fiamme. Qualcuno mi dice che dei tizi incappucciati sono sbucati fuori da via dei Camaldolesi (una via laterale di Corso Alessandro Volta) lanciando delle molotov. Dietro il mezzo incendiato si crea fila impressionante di camion dell’immondizia. Il manto stradale è ricoperto di olio. I Carabinieri mi rivolgono qualche minaccia. Faccio qualche passo indietro. I Vigili finalmente liberano la strada. Anche questa notte la munnezza è giunta a destinazione.
Non voglio che la mia protesta termini in questo modo: mi reco al fronte di Terzigno, fuori la pizzeria il Rifugio. Prevedo casini in una zona dove i camion devono per forza incontrare i contestatori.
E’ mezzanotte e mezza. Tra la folla scorgo bambini e signore anziane. Una decina di poliziotti senza scudo osserva i movimenti della gente. L’arrivo dei camion è previsto per le due di notte. Mi allontano per andare a mangiare qualcosa. Mi dirigo verso San Giuseppe Vesuviano. Torno a Terzigno verso l’una e trenta passando per corso Leonardo Da Vinci: la protesta si è spostata dal Rifugio all’arteria principale del paese. I cittadini sono convinti che i camion passeranno di lì: ci credo poco.
Tento di capire quale tattica abbia in mente la polizia: mi pare strano che con via Zabatta sgombra i camion debbano passare per Corso Leonardo Da Vinci. Torno al Rifugio e mi accorgo che la polizia ha aperto al traffico la via che conduce alla discarica. Deduco che la situazione alla Rotonda di Boscoreale è sotto il controllo delle forze dell’ordine.
Ritorno in Corso Leonardo Da Vinci, mi preparo allo scontro con i gendarmi. Dopo qualche minuto vedo sbucare dalla strada che conduce alla superstrada dei paesi vesuviani (la “superstrada della morte”) un corteo di volanti della polizia e camionette dei Carabinieri: sono la scorta dei camion della spazzatura!
I militari dell’Arma, in tenuta antisommossa, scendono dai loro mezzi di trasporto, si schierano su due file e corrono verso di noi per caricarci: non vogliono perdere tempo, hanno ordine di sfollarci al più presto. Tra i manifestanti noto due tizi con gli zaini pieni di esplosivi: iniziano ad
accendere le micce e a lanciare bombe verso i Carabinieri che non esitano a rispondere con un cospicuo lancio di lacrimogeni. Tento di oppormi alla carica ma vengo sopraffatto dal gas. Mi do alla fuga: le forze dell’ordine mi rincorrono per duecento metri. Mi fermo proprio di fianco a uno dei tizi che ha lanciato i petardi: gli chiedo di dov’è, mi risponde “di Boscoreale”.
Prendo fiato: il bruciore alla gola e agli occhi è fortissimo. Chiamo mio fratello e mio cugino, mi faccio venire a prendere con l’auto. Ci dirigiamo nuovamente in direzione del Rifugio per assistere al passaggio dei camion. Ci sediamo su un muretto a pochi metri di distanza da una ventina di poliziotti armati di manganello e scudi. Passano i camion ed effettuo delle riprese. I poliziotti ci puntano un faro addosso: mio fratello caccia dalla tasca un paio di occhiali da sole, li indossa e li manda a quel paese.
Decidiamo di tornare in corso Leonardo Da Vinci: la strada è bloccata! Sul posto è presente anche l’esercito. Mi accorgo che un camion è stato dato alle fiamme. Tento di forzare il blocco della polizia dicendo che sono un giornalista ma i poliziotti quasi mi picchiano, mi spingono e mi costringono ad andare via. Mi insultano pure dicendo che non sono nessuno e che me ne devo andare a fanculo. Vado via ma non demordo: percorro un dedalo di vicoli e sbuco dal lato opposto del blocco, passando per Corso Alessandro Volta: i Vigili del Fuoco sono impegnati a spegnere un autocompattatore in fiamme. Qualcuno mi dice che dei tizi incappucciati sono sbucati fuori da via dei Camaldolesi (una via laterale di Corso Alessandro Volta) lanciando delle molotov. Dietro il mezzo incendiato si crea fila impressionante di camion dell’immondizia. Il manto stradale è ricoperto di olio. I Carabinieri mi rivolgono qualche minaccia. Faccio qualche passo indietro. I Vigili finalmente liberano la strada. Anche questa notte la munnezza è giunta a destinazione.
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