Allo stato, stante gli attuali conferimenti, il raggiungimento del limite previsto per legge è confermato entro il prossimo mese di ottobre.
Sono ancora disponibili meno di 30 mila tonnellate di capienza che stando agli attuali flussi di conferimento accertati (370 t. a notte) determinano il completamento della Sari ai principi dell’autunno.
L’ultimo strato di “monnezza” eleverebbe di circa un metro la cupola finale del panettone dell’invaso che verrebbe poi ricoperto dai teli impermeabili per ridurre le infiltrazioni di acqua piovana e consolidare gli argini.
Allo stato nessun progetto esecutivo è in essere per allargare l’invaso e tantomeno lavori di ampliamento dello stesso (cosa tecnicamente impossibile trattandosi di una discarica a fossa), fatta salva la possibilità prevista dalla legge di incrementare del 10% la capienza, cosa che sarebbe tecnicamente possibile solo sopraelevando di qualche metro la cupola e riempendo gli alvei di percorrenza dei compattatori per raggiungere il vertice del panettone.
A l fine di ridurre la preoccupazione che era sorta negli ultimi giorni è stato anche accertato che le due grosse vasche attualmente in preparazione (di cui le foto) ai margini dei silos di decantazione del percolato aspirato, altro non sono che invasi d’emergenza per far confluire, in caso di precipitazioni cospicue, l’eccedenza pluviale che potrebbe determinarsi per l’ostacolo costituito dall’enorme panettone di monnezza.
Resta il dato che per il poco tempo di vita della discarica e per l’assenza di qualunque piano esecutivo per i 18 comuni che conferiscono in cava Sari, si appalesa subito dopo l’estate, il grosso pericolo di un’emergenza rifiuti dell’intero comprensorio vesuviano che potrebbe risultare devastante, avendo la consapevolezza che, per nessuna ragione, sarebbe consentito conferire anche un solo sacchetto di monnezza in altre cave del Vesuvio.
Da qui l’urgenza e l’appello alle istituzioni tutte a fare presto per far partire immediatamente il piano alternativo a quello regionale che la Rete sta sollecitando da diversi mesi a questa parte.
Quindi niente aree di stoccaggio o invasi paralleli al principale per raccogliere monnezza , ma aree tecniche di sedime.
Pur tuttavia nell’oggettiva costatazione che l’attuale gestione si avvicini alla normativa prevista dalla UE rimangono tutte valide le perplessità strutturali, sollevate nell’esposto alla Magistratura di ottobre scorso , di un invaso che accoglie il “tal quale” in un’area fortemente sensibile e a rischio come quella vesuviana (come confermato dalla relazione della Commissione UE), di una gestione quanto meno “disattenta”che nel recente passato ha consentito il conferimento di migliaia di tonnellate di materiale fortemente putrescente e non stabilizzato proveniente da invasi fuori provincia e dagli Stir inefficienti ( che hanno determinato l’esplosione di esalazioni mefitiche fin dalla scorsa estate), di un invaso dislocato in un’area fortemente compromessa dal punto di vista ambientale rispetto alla matrice acqua che ha rilevato contaminanti pericolosi nelle falde sottostanti e delle quali ancora si attendono i riscontri terzi effettuati dal Tribunale di Nola affiancati dai tecnici della Rete su cui, nonostante le continue sollecitazioni, è caduto il più “assordante” colpevole silenzio.
Infine è stato esaminato il dato inerente la tecnica di captazione del percolato e del suo smaltimento e alla produzione di biogas e del suo recupero economico.
E qui casca l’asino.
Allo stato la quantità di percolato captato è cospicua e non potendo essere trattato in loco viene inviato in Calabria ad un costo a dir poco scandaloso.
La Provincia di Napoli, attraverso Asia e Sapna, con i soldi dei contribuenti, spendono circa 200 mila euro al mese per spedire fuori regione le cisterne di percolato prodotto dalla Sari.
Una spesa assurda tanto più che con poche decine di migliaia di euri si potrebbe trattare localmente il pericoloso liquido e investire, da subito, l’enorme risorsa finanziaria risparmiata in opere di bonifica del martoriato territorio vesuviano.
E non solo.
Allo stato la produzione di biogas ( la frazione di metano è intorno al 40%) è pronto per essere convertito in energia.
Ma la struttura à sprovvista dell’impiantistica necessaria a convertire il gas in energia e trasportarlo in altre aree sarebbe troppo costoso.
E allora?
Si è pensato bene di bruciare tutto il biogas possibile, con le torce appositamente predisposte, contribuendo all’aumento dell’inquinamento atmosferico e mandando in fumo decine di migliaia di euri al mese che invece potrebbero servire a ridurre la Tarsu dei contribuenti vesuviani.
Al danno dell’inquinamento, dunque, anche la beffa del mancato ricavo.
Oltretutto con un enorme sperpero di denaro pubblico tra personale, trasporto, controllo e gestione di una mega struttura assolutamente passiva.
Anche su questo aspetto la Rete e Legambiente hanno deciso di vederci chiaro e di approfondire la questione.
In un clima di enorme difficoltà finanziaria di Provincia e Regione, si sta procedendo ad attivare tutti i canali possibili per chiarire la questione del passivo di gestione e sollecitare tutti gli organi istituzionali Parlamento, Governo, UE, Magistratura e Corte dei Conti a fare chiarezza e ad intervenire prontamente.
Infine, nelle more di valutare quanto emerso, si è deciso di approfondire nel dettaglio ulteriori aspetti tecnici aggiornando alla fine di agosto un ulteriore sopralluogo con la presenza di esperti di settore che dovranno fornire ulteriori delucidazioni su alcune controverse questioni emerse nel corso della visita.
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