lunedì 11 luglio 2011

LA DISCARICA. DOVE E PERCHÈ NASCONO I DUBBI DI SANT’ANASTASIA

Il Mediano 11/07/2011
Ogni qualvolta si individua un’area per fare una discarica, le proteste si accendono perché manca la fiducia sul modo di trattare i rifiuti. Capiamone di più con questo approfondimento.

Mentre il commissario ad acta Tino Vardè si appresta a presentare il piano per l'individuazione dei siti di smaltimento dei rifiuti urbani della provincia di Napoli, la popolazione di Sant'Anastasia, il cui territorio è interessato direttamente dal piano, si interroga sugli eventuali rischi per l'ambiente e la salute pubblica.




Cosa prevede il piano?

Il piano prevede la suddivisione della provincia di Napoli in sette aree omogenee ed autosufficienti e l'individuazione di altrettante cave dismesse, per la messa a dimora definitiva dei rifiuti biostabilizzati provenienti dagli impianti STIR di Tufino, Caivano e Giugliano. Le cave già individuate ricadono nei comuni di Napoli (Chiaiano), Marano, Giugliano, Comiziano e Sant'Anastasia. L'allestimento dei siti richiederà sei mesi, durante i quali saranno inviati in discariche fuori regione le 22.000 tonnellate di rifiuti che attualmente sono stipate in diverse aree di stoccaggio provvisorio.

Quali rifiuti arriverebbero a Sant'Anastasia?

Il rifiuto biostabilizzato, che dovrebbe essere eventualmente trasportato nel sito anastasiano, è caratterizzato da una fermentiscibilità notevolmente ridotta ed è adatto a varie applicazioni volte al recupero ambientale e paesaggistico, al risanamento di cave e come materiale per la ricopertura di discariche. Non va confuso con il compost e non può essere utilizzato per scopi agricoli (infatti è anche chiamato "compost fuori specifica").

Non si tratta, dunque, dei rifiuti raccolti direttamente in strada, ma della frazione umida dei rifiuti urbani sottoposta a preventivi trattamenti, da effettuarsi nei suddetti impianti, che ne limitano l'impatto ambientale, riducendola ad una sorta di terriccio inerte.

Cosa sono gli STIR?

Gli impianti di Tufino, Caivano e Giugliano, dai quali dovrebbero partire anche i rifiuti destinati a Sant'Anastasia, sono tre dei sette impianti inizialmente progettati per trasformare i rifiuti solidi urbani in combustibile derivato dai rifiuti (CDR). Rientrano nel Piano Regionale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, pubblicato nel 1997 dal presidente della regione Campania, il quale prevedeva due inceneritori alimentati dal CDR prodotto in questi sette impianti.

In realtà essi non hanno praticamente mai prodotto CDR a norma di legge, utilizzabile cioè come combustibile in inceneritori o altri presidi industriali.

Dal 2000 al 2007 si è consumata, infatti, una colossale truffa il cui lascito, per le generazioni future, sono cinque milioni di "ecoballe" di falso CDR, lasciate a marcire in svariati siti disseminati sull'intero territorio regionale. Peraltro, il processo sull'accertamento delle responsabilità, tuttora in corso, non porterà a condanne penali per l'imminente sopravvenienza dei termini di prescrizione.

Nel 2007, dopo l'intervento della magistratura, gli stessi sono stati declassati a più modesti impianti di selezione, triturazione ed imballaggio di rifiuti (STIR).

E come tali hanno operato sino ad oggi, spesso in maniera discontinua, effettuando una mera riduzione volumetrica dei rifiuti da avviare al termovalorizzatore di Acerra (circa il 30-40%), oltre alla separazione dei metalli.

Ora, i piani del commissario prevedono che all'interno di tali impianti avvenga una separazione spinta dei materiali recuperabili (vetro, plastica, metalli,...) ed un processo di stabilizzazione della frazione umida. Questo ridurrebbe drasticamente le quantità di rifiuto da inviare al termovalorizzatore.

Considerazioni tecniche

Preliminarmente va osservato che i siti individuati dal commissario non soddisfano i requisiti di legge per la realizzazione di discariche ed il piano, infatti, si avvale di specifiche deroghe.

Ma le principali riserve riguardano, come al solito, gli aspetti gestionali della situazione emergenziale, e segnatamente le operazioni che andrebbero condotte negli impianti di trattamento dei rifiuti, che sono stati al centro, come visto, di vicende giudiziarie di rilievo nazionale nell'ambito delle quali sono state accertate violazioni sistematiche gravissime.

Giova ricordare, infatti, che il processo di trattamento che dovrebbe essere avviato negli impianti richiede il rispetto di rigorosi vincoli tecnici e di idonei tempi di permanenza che assicurino una adeguata stabilizzazione delle componenti organiche dei rifiuti, soprattutto se destinati a discarica. Uno degli aspetti emersi dalle inchieste citate, per esempio, è stato il limitato tempo di permanenza dei rifiuti nelle aree di maturazione, a seguito della quale venivano posti in uscita con processi fermentativi ancora in corso.

L'arrivo di rifiuto non stabilizzato o, peggio, di rifiuto "tal quale" avrebbe effetti deleteri sia per la produzione di percolato (un liquido che, se non correttamente gestito è causa di inquinamento di terreni e falda) sia per la produzione di biogas.

Quali sono i possibili impatti?

Le possibili fonti di disagio o di veri e propri rischi per la salute, derivanti dalla presenza di una discarica, sono diverse.

Una prima inevitabile conseguenza è collegata al transito di automezzi pesanti che determina disagi e rischi per la salute ascrivibili ad inquinamento acustico, polvere, gas di scarico emesso dagli autoveicoli, eventuale percolato sulle sedi stradali.

Notevoli rischi potenziali sono invece connessi all'eventualità, che non può dirsi remota, dell'arrivo di rifiuti non completamente stabilizzati. In questo caso gli impatti sarebbero diversi.

Emissioni di biogas. Si tratta dei gas mefitici prodotti dalla fermentazione batterica dei residui organici eventualmente ancora in decomposizione. Possono derivarne nausea e altri disturbi, per gli abitanti residenti fino a 2 km in linea d’aria dalla discarica. Nel periodo estivo i fenomeni putrefattivi e fermentativi sono molto più marcati, soprattutto in presenza di correnti eoliche ascendenti. Altri rischi notevoli sono connessi ad eventuali fenomeni combustivi dei gas stessi.

Inquinamento delle falde acquifere. Il percolato prodotto dalla componente organica dei rifiuti costituisce una potenziale fonte di contaminazione delle falde acquifere per la presenza di sostanze pericolose, che in tal modo verrebbero rese potenzialmente assimilabili dai sistemi biologici e dall’uomo. Benchè la legge e le norme di buona tecnica impongano di impermeabilizzare le discariche con strati di argilla e di polietilene, non è tuttavia garantita una tenuta dei liquidi per tempi indefiniti.

Contaminazione dei terreni circostanti. Nelle zone limitrofe alla discarica esiste la possibilità di efflusso di percolato per tracimazione dal livello di impermeabilizzazione oppure per fuoriuscita dello stesso da falle dello strato di impermeabilizzazione. Esiste pertanto il rischio di un concomitante inquinamento di falde acquifere e dei terreni circostanti alla sede della discarica. I rischi per la salute derivano, in questo caso, sia dalla frequentazione dell’area circostante la discarica, sia dal possibile inquinamento di prodotti agricoli con la conseguente contaminazione della catena alimentare.

Pullulazione di specie pericolose. Comunemente alle discariche si associa una pullulazione di specie biologiche pericolose per la salute umana, sia direttamente (batteri e parassiti), sia per la presenza e la moltiplicazione di ospiti intermedi e vettori (topi, gabbiani, insetti).

L’autore è ingegnere, giornalista scientifico, docente in materia di rifiuti presso enti della PA, funzionario di azienda pubblica di gestione integrata. Amministratore del forum permanente sui rifiuti.
Autore: Giovanni Maione

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