Si ordina l’apertura della più grande discarica di rifiuti in Europa nel parco Vesuviano, in zona già gravata da uguale servitù. L’atto non è firmato dal comando di piazza di una truppa di occupazione straniera, ma dall’autorità pubblica di uno stato di diritto.
Fraintesa la nozione di stato sovrano, ritiene di poter ridurre dei cittadini a sudditi di un impero d’oltremare.
Dopo promesse affidate alla durata delle cronache del giorno dopo, e alla misericordia del vento, l’autorità si ripresenta su piazza affidando al suo luogotenente il pacchettino di soluzioni. Evidente la sproporzione tra i due termini: le ragioni di una rivolta per legittima difesa e l’incaricato dell’affare.
Un protettore civile deve proteggere con metodi civili: ha invece praticato sul posto l’invio di truppe e metodi militari. Stavolta non bastano più, nemmeno se richiamano effettivi dall’Afghanistan smonteranno la vera protezione civile decisa dai cittadini di Terzigno e di altri comuni.
È interamente loro il diritto a proteggersi da comunità civile contro la discarica subìta e quella gigantesca e prossima.
Già la prima è da sanare. È certo che produce danni fisici. Non solo a Terzigno, è gran parte del sistema di trattamento dei rifiuti a produrre le micidiali nanoparticelle. Si nega ufficialmente l’evidenza, perché non si adoperano, intenzionalmente, rilevazioni adatte a intercettarle.
Sta di fatto che nel raggio di discariche e impianti di smaltimento si concentrano leucemie, neoplasie e altre maledizioni.
Contro questa evidenza statistica e scientifica si compatta la barriera dell’omertà ufficiale, più serrata di quella mafiosa. È la dannata contropartita dell’economia dell’abbondanza: la nuova peste, prodotta dagli scarti mal trattati, che produce bubboni dentro anziché in superficie.
Si fa gran caso e grancassa intorno ai pericoli della criminalità comune, si gonfiano a mongolfiera modesti episodi di cronaca nera. Si istiga un bisogno artificiale di maggior sicurezza. In questo modo si distrae e si dirotta allarme dalla nuova peste, nascosta e negata, che invece è la più rovinosa aggressione alla incolumità pubblica.
A Terzigno, come già in Val di Susa, una comunità, tutta e intera, si batte per il diritto non trattabile alla vita, alla salute, all’aria, almeno quella pulita. Niente significa la promessa, con l’aiuto del vento, di liberare il naso da umori nauseanti: resta ammorbata intorno a una discarica, pure se sa di prosciutto e fichi. Terzigno si batte con unanimità di vite, età, mestieri differenti ricorrendo all’ultima risorsa dell’opposizione, dopo averle sperimentate invano tutte: la rivolta. Non cederanno, anzi. Sono arrivati all’ultimo gradino della penitenza, da lì si è schiacciati o si vince. In una rivolta c’è di tutto. Difficile scremare. Chiamano «Rotonda della Resistenza» lo svincolo che smista vie a Boscoreale. Condivido e aggiungo: No pasaràn. Non passerà l’autorità che chiama emergenza l’effetto della sua incompetenza. Non passerà l’arbitrio di degradare una comunità a lazzaretto. Non passerà nessuna misura imposta con la forza, che ormai non è giusto definire pubblica. È di parte e di una parte che ha torto. Parte lesa è Terzigno che ha preso in mano il suo destino e non se lo fa più spupazzare. Magnifica è già stata la loro pubblica respinta di indennizzi e compensi.
«I figli non si pagano», dice Filumena Marturano. Così dice pure Terzigno. A Napoli intanto cresce la temperatura a dispetto dell’autunno inoltrato. Appartengo per nascita a quella gente accampata sotto un vulcano attivo. Conosciamo lunghissime pazienze e fuochi spenti.
Ma quando arriva al bordo la colata di collera, la città si ritrova densa e compatta come lava. Nessun sismografo l’avverte quando è pronta e allora guai a chi tocca."
da il Corriere della Sera, 24 ottobre 2010, pagina 7
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