giovedì 14 ottobre 2010

Del Giudice: vogliono creare in Campania un polo dell’incenerimento

Continua l’indagine di Eco dalle città circa le ragioni della nuova emergenza rifiuti. Abbiamo intervistato Raffaele del Giudice, direttore di Legambiente Campania ed esperto della questione rifiuti. Secondo Del Giudice l’emergenza è legata a grossi deficit industriali, a cui si aggiungono un’emergenza legislativa, legata alla provincializzazione delle competenze della raccolta, e un’emergenza finanziaria. C’è poi, per il direttore di Legambiente Campania, una strategia che mira a fare della regione un vero e proprio polo industriale dell’incenerimento
Raffaele, a gennaio con un decreto il governo dichiarava conclusa l’emergenza rifiuti. Qualche settimana fa ci siamo ritrovati di nuovo con l’immondizia in strada, da qualche giorno sono riprese le proteste a Terzigno e la procura indaga sull’inceneritore di Acerra. Cosa è successo?

Noi abbiamo sempre sostenuto, già due anni fa, che la soluzione dei fossi, delle discariche avrebbe riportato l’emergenza rifiuti in Campania. Per capire quello che è accaduto basta fare una semplice riflessione. La produzione quotidiana dei rifiuti è pari a 7200 tonnellate. Questi vanno così distribuiti: una parte viene differenziata, poi ci sono 7 Stir (Stabilimenti di Tritovagliatura ed Imballaggio Rifiuti) l’inceneritore di Acerra e 9 discariche. Gli Stir, avrebbero dovuto produrre combustibile CDR per l’inceneritore di Acerra e FOS, la frazione organica stabilizzata che può andare tranquillamente in discarica.
In realtà, noi oggi paghiamo le conseguenze di un’impiantistica falsa. Gli Stir non sono altro che imbustatori di rifiuti e producono, anziché FOS, un umido non stabilizzato che va in discarica.
Le balle di rifiuti che escono dagli Stir, fanno alzare le temperature di combustione creando grandi difficoltà per l’impianto di Acerra, che già soffre di grossi limiti progettuali, mentre l’umido non stabilizzato che va in discarica produce percolato, che fa rallentare le fasi di scarico.
In due anni, inoltre, per coprire i deficit industriali degli Stir e dell’impianto di Acerra, sono state riempite a dismisura le discariche di “tal quale”, per questo tra due mesi al massimo saranno sature. Sempre riguardo alle discariche c’è poi la questione di Terzigno. Quella che vogliono realizzare non è la seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio, ma almeno la terza, data la presenza di altri fossi per così dire “border line” tra l’abuso e la legalità.

Lei parla di limiti progettuali di Acerra. Qual è la situazione attuale dell’impianto?

Un primo problema, come le dicevo, è la tipologia di rifiuto che entra. Cercando di evitare tecnicismi, poi, la A2A ha difficoltà a gestire il problema del raffreddamento, dei fumi e dei forni. Per mettere a punto Acerra bisognerebbe chiuderlo per almeno sei – sette mesi, ma questo implicherebbe un eccessivo dispendio economico che la A2A non vuole.

Riguardo alla nuova emergenza Berlusconi ha puntato il dito contro il sindaco di Napoli e l’Asia, la municipalizzata che si occupa della raccolta. C’è da dire che effettivamente la raccolta differenziata negli ultimi due anni non è mai decollata veramente. Lei come spiega questa difficoltà?

Alla storica emergenza strutturale della regione, si sono aggiunte un’emergenza legislativa ed un’emergenza finanziaria. Il problema è, infatti, la provincializzazione della gestione della raccolta stabilita per decreto a gennaio, che ha significato il passaggio di competenze dai comuni alle province.
Ci sono vari problemi. Innanzitutto, il decreto non tiene conto degli squilibri territoriali della regione, per cui in alcune aree delle province c’è un bacino d’utenza maggiore che in altre e questo crea una difficoltà di gestione. Inoltre, il decreto, provincializzando la competenza sulla raccolta, ha negato ai comuni qualsiasi capacità d’azione anche sulla raccolta differenziata, che, in questa fase di passaggio, quindi, ha subito una battuta d’arresto. Questo vale anche per il Comune di Napoli.

Ancora non sono stati organizzati i piani provinciali di gestione dei rifiuti, sempre previsti dal decreto, e per questo ancora non si è capito che fine faranno i lavoratori dei consorzi che oggi si occupano della raccolta, generando così altra tensione.

C’è poi la questione finanziaria, gli enti locali non hanno mai ricevuto dal governo denaro per la gesione dei rifiuti e neppure i fondi, sottoforma di misure compensative, per aver ospitato discariche, inceneritori e quant’altro.

Riguardo alla raccolta differenziata, poi, io mi chiederei che fine hanno fatto tutte le iniziative messe in campo da Bertolaso. Che fine hanno fatto le piattaforme Conai dove i cittadini potevano portare i rifiuti differenziati ricevendo in cambio denaro? Funzionano ancora? Quanti rifiuti sono stati raccolti? Io credo che l’intervento di Giudo Bertolaso abbia confuso una situazione già molto complicata.

La nuova emergenza fa sorgere il dubbio che ci sia una volontà di realizzare in Campania un numero di impianti di incenerimento e di discariche più alto di quello realmente necessario. C’è un’eccessiva mala fede in questa visione o esiste secondo lei una qualche premeditazione dell’emergenza?

Nessuna malafede, esiste una vera è propria strategia industriale dietro le emergenze campane. Si stanno gettando le basi per fare in modo che la regione diventi un vero e proprio polo dell’incenerimento. La “gestione dell’emergenza” serve a giustificare la realizzazione di 6 impianti che poi permetteranno di sopperire anche alle crisi di altre regioni, come il Lazio, la Puglia o qualche regione del nord quando si rivelerà necessario. Data la produzione di rifiuti campana, infatti, due impianti sarebbero più che sufficienti.
E poi c’è la questione degli impianti di compostaggio mai partiti. Uno è a Salerno, un altro a San Tammaro da due anni, che sta ancora fermo. Perché? Potrebbero risolvere la questione dell’umido. Ma questo farebbe diminuire la produzione di eco balle, contro gli interessi della Fibe che attualmente continua a prendere i contributi Cip6 per l’inceneritore di Acerra.
(Simona Cipollaro, EcoDalleCittà)

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