venerdì 19 novembre 2010

La leggenda degli uomini straordinari


Tutto cominciò con l’emergenza rifiuti in Campania (leggi Napoli) iniziata, probabilmente, nello stesso anno in cui iniziavano i lavori della A3 Salerno Reggio Calabria.
Nel 2008 si reiterò l’emergenza rifiuti mai finita, ma la differenza è che i mass media erano di fazioni diverse. Nel 2008 non più. L’Ordine dei Giornalisti ha perso gran parte della sua libertà di parola e di pensiero con la morte di Biagi e Montanelli, due maestri del giornalismo italiano.
La Presidenza del Consiglio insieme al capo della Protezione Civile, oggi pensionato eccellente, interviene e voilà! Con sorpresa di tutti noi i rifiuti di Napoli scompaiono. Dove c…..o li avrà messi i rifiuti quel maestro di alchimia? Nel buco del Parco Nazionale del Vesuvio in loc. Pozzelle.
La gente, gente come tanta, una piccola rappresentanza dello Stato, non vide più la spazzatura. Si trovò la soluzione che accontentava tutti, in quanto nessuno la vedeva più in tv, mentre noi la guardavamo dalla finestra di casa. Poi un gruppo di Garibaldini di origini meridionali iniziò la sua battaglia di informazione. Tutti sordi. Tutti. Nessuno ascoltava, in quanto l’orecchio era intorbidito dalla visione celestiale del miracolo della mondezza scomparsa e dalle falsità che ci propinava la tv. Qualcuno andò persino a “Chi l’ha Visto” (metaforicamente) per capire che fine avesse fatto (la munnezz!). E mentre quel gruppo di garibaldini sgomitava per far capire alla gente, parte dello stato, la realtà dei fatti, e la gente sempre sorda, si arriva al fatidico mese di luglio 2009. Estate africana (sen’offesa per l’Africa), afosa, con una cappa che opprimeva le genti del vesuviano con nottate all’insegna del miasmo (puzza). I primi malori, le prime sensazioni che qualcuno ci stesse fregando. In realtà, gli autori del miracolo, nel mentre i famigerati e facinorosi garibaldini di cui sopra cercavano di farci capire la realtà dei luoghi, ci avevano già fregati. Era iniziata la lotta tra poveri. Noi contro noi, tutti noi contro la polizia, gente come noi, tutti contro tutti. Nessuno contro chi aveva compiuto il miracolo. Perché la parola d’ordine nell’epoca borbonica quando ci si trovava di fronte ai problemi seri da affrontare e non si sapeva come affrontarli (o non si voleva affrontare) era: “Facimm’ a muin’”. Così di fronte al caos non si capisce più chi ha ragione e chi ha torto. Chi ha ragione ha torto e chi ha torto ha ragione.
Si sveglia l’Asia e pubblica una relazione che ci lascia tutti sconcertati: qui tutto è inquinato lo dicono i rilievi eseguiti prima che fosse fatta la discarica. Inoltre, nessuna bonifica è stata fatta come previsto dalla legge. La provincia mette in giro altri dati. Interviene il buon pensionato di lusso che dice ma no vi mandiamo l’Arpac che così ci garantisce l’esito dei risultati. Esce l’esito. Secondo miracolo: l’inquinamento è scomparso. Ma come è scomparso!. Ma no l’inquinamento c’è ma non c’è. Ecco il “rifacimm’ a muin”.
La magistratura (Istituzione dello Stato) nella quale i cittadini (lo stato) si confidano per un barlume di giustizia, inquisisce un sindaco che per salvaguardare la salute dei suoi cittadini vieta il transito ai compattatori, portatori di veleni e percolato, sul suo territorio. Ancora “facimm’ a muin’”. Ma in tutto questo “facimm’ a muin’” noi cittadini chi siamo? Perché ho dimenticato anche chi sono. Nel trambusto del facimm’ a muin’ fa che i colpevoli siamo noi cittadini? Noi, che siamo lo  Stato, che dobbiamo essere difesi dalle istituzioni dello Stato (cioè noi), noi cittadini che siamo colpevoli di aver dato in troppi anni il mandato a gente sbagliata e incompetente, (competente per ciò che riguarda la gestione del potere e degli affari economici), colpevoli di aver avuto troppa fiducia nelle istituzioni, e forse a questo punto della storia anche colpevoli di essere, consentitemelo, definiti mafiosi e camorristi, perché con il nostro atteggiamento omertoso, di indifferenza, di negligenza, abbiamo alimentato la catena degli orrori, pardon degli odori, o comunemente definiti del malaffare. Noi cittadini colpevoli. Ancora “rifacimm’ a muin”. Oggi non si sa più chi cerca la giustizia, ma solo il colpevole da condannare. Chi ha commesso il reato è il cittadino che produce troppa monnezza. Massimo Troisi diceva in suo famosissimo film: “ricordati che devi morire”. Lui rispose “mo’ me lo segno”. La nostra differenza con l’attore è che noi non dobbiamo scrivercelo per ricordare tale evento, perché ogni sera che respiriamo l’aria fetida del purgatorio terreno della discarica Sari aiutiamo la nostra memoria a ricordare, ricordare che viviamo in uno stato inesistente, privo di pudore e senso civico.
Facimm’ a muin.
Michele Amoruso
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